Tal'hor anche fu di Sarmenti: non poteva stendersi letto più povero.
Non sentì con l'orecchio incerato dalla Povertà gl'Incanti del Rege delle Sirene, che pretese al suon dell'Argento trattener questo Ulisse, il quale, se haveva già prostrato il Polifemo della Superbia; all'hora deluse la Circe della Ricchezza. Il Re de' Galli nol mosse al canto dell'Oro: dell'Oro, che fa caminare meglio le Selci, marchiar i Tronchi, e volar le pietre, che non feano gli Orfei, perché il suon delle Lire, è più possente che l'armonia delle Cetere. La Lira che fe' mover FRANCESCO fu quella Croce sulla quale, Musico il Verbo, sopra il Registro [390] della sua Carne, rubricata di Sangue, cantò l'ultimo, e più alto tuono, clamans voce magna, della nostra Redentione.
Il Fuoco prova l'Oro, e questa volta l'Oro provò il Fuoco. Il medesimo Re di Francia volle, ad istanza de' Cortigiani, che sempre cavan la mina ad abbatter i Giusti, provar FRANCESCO colle reiterate missive dell'Oro inviatoli; ma egli stette sempre a coppella, e si potè dir all'hora che fosse coppellato il Paragone coll'Oro, e non l'Oro col Paragone. Sprezzò FRANCESCO i Donativi in Francia, come spezzò in Napoli le Monete. Da queste fe' uscir il Sangue; in quelli fe', ch'entrasse la maraviglia.
Stupito quel Monarca a tal Continenza inviò a FRANCESCO una grande Statua di Nostra Dama tutta di Oro ingioiellata, e carica di Pietre Pretiose. S'inchinò il Santo alla Vergine, non all'Oro: rifiutò la Statua, e ritenne l'Imagine: L'Imagine della Vergine, che si portata sempre impressa nel cuore; non già l'Oro, che non mai v'hebbe impresso.
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