Ah, che laggiù nell'Inferno non entran gioie; e se ben Plutone delle Ricchezze fu finto il Dio, laggiù si muor di sete, di fame, di caldo, e di freddo. Di sete della perduta Beatitudine, di fame della Divinità eternamente invisibile, di caldo cagionato dall'ardore della propria concupiscenza, di freddo lasciato nelle fibbre dell'Anima da quel frigidum Verbum meum, che sempre articolò l'Avaritia.
Oh Microcosmo più fortunoso, che fortunato! Huomo, che quanto più vivi ricco, tanto più muori povero; e dopo di haver ben'empiuti i tuoi sacchi, tu alla fin resti in sacco; e di tante tue delitie [394] non puoi portar teco, che la memoria tormentadrice, non di haverle lasciate, ma di haverle seguite: e di tanti tuoi Diletti non puoi recar in tua compagnia, che i Delitti: Che fai, che pensi, che risolvi? Aspettano i tuoi Heredi la tua disfatta finale, e sospirano, perché ancora non muori: Hor considera, se vorranno piangere alla tua morte. Dunque per lasciargli agiati vorrai restar'incommodato per sempre? Ingannasti molti; ma più te stesso; e quanto più acquistasti di Capitale, tanto meno havesti di Capo per conoscere le tue perdite. Quanto più di Credito fosti, tanto meno credesti, più puntuale cogli Huomini, che con Dio; a cui mancasti tante volte la Fede, per vergognarti d'essere a quegli infido. Se ben non so, se mai mantenesti la Fede al tuo Prossimo, poiché violasti quella del tuo Sovrano.
Deh come puoi pretendere di veder il tuo Creatore, se ti acciecò l'Interesse, col gittarti negli occhi dell'Anima tanta polve.
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