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      Che poi, venendo dalla semplice lunghezza costituita quella magnitudine che si chiama linea, aggiunta la larghezza si costituisca la superficie, e sopragiunta l'altezza o profondità ne risulti il corpo, e che doppo queste tre dimensioni non si dia passaggio ad altra, sí che in queste tre sole si termini l'integrità e per cosí dire la totalità, averei ben desiderato che da Aristotile mi fusse stato dimostrato con necessità, e massime potendosi ciò esequire assai chiaro e speditamente.
      SIMP. Mancano le dimostrazioni bellissime nel 2°, 3° e 4° testo, doppo la definizione del continuo? Non avete, primieramente, che oltre alle tre dimensioni non ve n'è altra, perché il tre è ogni cosa, e 'l tre è per tutte le bande? e ciò non vien egli confermato con l'autorità e dottrina de i Pittagorici, che dicono che tutte le cose son determinate da tre, principio, mezo e fine, che è il numero del tutto? E dove lasciate voi l'altra ragione, cioè che, quasi per legge naturale, cotal numero si usa ne' sacrifizii degli Dei? e che, dettante pur cosí la natura, alle cose che son tre, e non a meno, attribuiscono il titolo di tutte? perché di due si dice amendue, e non si dice tutte; ma di tre, sí bene. E tutta questa dottrina l'avete nel testo 2°. Nel 3° poi, ad pleniorem scientiam, si legge che l'ogni cosa, il tutto, e 'l perfetto, formalmente son l'istesso; e che però solo il corpo tra le grandezze è perfetto, perché esso solo è determinato da 3, che è il tutto, ed essendo divisibile in tre modi, è divisibile per tutti i versi: ma dell'altre, chi è divisibile in un modo, e chi in dua, perché secondo il numero che gli è toccato, cosí hanno la divisione e la continuità; e cosí quella è continua per un verso, questa per due, ma quello, cioè il corpo, per tutti.


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Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano
di Galileo Galilei
Einaudi Torino
1970 pagine 608

   





Aristotile Pittagorici