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      SIMP. Se noi non la lasciassimo cadere su qualche pietra che avesse pendio, come fanno i fanciulli con le chiose, e che battendo a sbiescio su la pietra pendente acquistasse movimento in se stessa in giro, col quale poi ella seguitasse di muoversi progressivamente in terra, non saprei in qual altra maniera ella potesse far altro che fermarsi dove ella battesse.
      SAGR. Ecco pure che in qualche modo ella può acquistar nuova vertigine. Quando dunque la ruzzola sbalzata in alto ricade in giú, perché non può ella abbattersi a dare su lo sbiescio di qualche sasso fitto in terra e che abbia il pendio verso dove è il moto, ed acquistando, per tal percossa, nuova vertigine, oltre a quella prima dello spago, raddoppiar il suo moto, e farlo piú veloce che non fu nel suo primo battere in terra?
      SIMP. Ora intendo che ciò può facilmente seguire. E vo considerando che quando la ruzzola si facesse girare al contrario, nell'arrivare in terra farebbe contrario effetto, cioè il moto della vertigine ritarderebbe quel del proiciente.
      SAGR. E lo ritarderebbe, e l'impedirebbe tal volta del tutto, quando la vertigine fusse assai veloce. E di qui nasce la soluzione di quell'effetto che i giuocatori di palla a corda piú esperti fanno con lor vantaggio, cioè d'ingannar l'avversario col trinciar (che tale è il loro termine) la palla, cioè rimetterla con la racchetta obliqua, in modo che ella acquisti una vertigine in se stessa contraria al moto proietto; dal che ne séguita che, nell'arrivare in terra, il balzo che, quando la palla non girasse, andrebbe verso l'avversario, porgendoli il consueto tempo di poterla rimettere, resta come morto, e la palla si schiaccia in terra, o meno assai del solito ribalza, e rompe il tempo della rimessa.


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Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano
di Galileo Galilei
Einaudi Torino
1970 pagine 608