SALV. Talché l'instanza di questo filosofo batte qua, che, sia quel principio, per il quale noi ci moviamo con la Terra, o esterno o interno, dovremmo in ogni maniera sentirlo, e non lo sentendo, non è né l'uno né l'altro, e però noi non ci moviamo, né in conseguenza la Terra. Ed io dico che può essere nell'un modo e nell'altro, senza che noi lo sentiamo. E del poter esser esterno, l'esperienza della barca rimuove ogni difficultà soprabbondantemente: e dico soprabbondantemente, perché, potendo noi a tutte l'ore farla muovere ed anco farla star ferma, e con grand'accuratezza andare osservando se da qualche diversità, che dal senso del tatto possa esser compresa, noi possiamo imparare ad accorgerci se la si muova o no, vedendo che per ancora non si è acquistata tale scienza, a che maravigliarsi se l'istesso accidente ci resta incognito nella Terra, la quale ci può aver portati perpetuamente, senza potere mai sperimentar la sua quiete? Voi sete pur, signor Simplicio, per quel ch'io credo, andato mille volte nelle barche da Padova, e se voi volete confessar il vero, non avete mai sentita in voi la participazione di quel moto, se non quando la barca, arrenando o urtando in qualche ritegno, si è fermata, e che voi con gli altri passeggieri, colti all'improvviso, sete con pericolo traboccati. Bisognerebbe che il globo terrestre incontrasse qualche intoppo che l'arrestasse, che vi assicuro che allora vi accorgereste dell'impeto che in voi risiede, mentre da esso sareste scagliato verso le stelle.
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