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      Imperocché l'aggiugnere o scemare un grado di velocità dove ne sono naturalmente 700 o 1000, non si può chiamar grande alterazione né in chi lo conferisce né in chi lo riceve: l'acqua del mar nostro, portata dalla vertigine diurna, fa circa 700 miglia per ora (che è il moto comune alla Terra ed ad essa, e però impercettibile a noi); quello che nelle correnti ci si fa sensibile, non è di un miglio per ora (parlo nel mare aperto, e non ne gli stretti), e questo è quello che altera il movimento primo, naturale e magno: e tale alterazione è assai rispetto a noi ed a i navilii, perché a un vassello che dalla forza de i remi ha di fare nell'acqua stagnante, verbigrazia, 3 miglia per ora, in quella tal corrente dall'averla in favore all'averla contro importerà il doppio del viaggio; differenza notabilissima nel moto della barca, ma piccolissima nel movimento del mare, che viene alterato per la sua settecentesima parte. L'istesso dico dell'alzarsi ed abbassarsi uno due o tre piedi, ed a pena quattro o cinque nell'estremità del seno lungo due mila o piú miglia e dove sono profondità di centinaia di piedi: questa alterazione è assai meno, che se, in una delle barche che conducon l'acqua dolce, essa acqua, nell'arrestarsi la barca, s'alzasse alla prua quant'è la grossezza d'un foglio. Concludo per tanto, piccolissime alterazioni rispetto all'immensa grandezza e somma velocità de i mari esser bastanti per fare in essi mutazioni grandi in relazione alla piccolezza nostra e di nostri accidenti.


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Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano
di Galileo Galilei
Einaudi Torino
1970 pagine 608

   





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