Io non vorrei già, che Apelle annumerasse in questa schiera come egli fa, i compagni di Giove (credo che voglia intender de' quattro pianeti Medicei); perché loro si mostrano costantissimi come ogn'altra stella, sempre lucidi, eccetto che quando incorrono nell'ombra di Giove, perché allora s'eclissano, come la Luna in quella della Terra; hanno i lor periodi ordinatissimi e tra di loro differenti, e già da me precisamente ritrovati; né si muovono in un cerchio solo, come Apelle mostra o d'aver creduto o almeno pensato che altri abbino creduto, ma hanno i lor cerchi distinti e di grandezze diverse, intorno a Giove come lor centro, le quali grandezze ho parimente ritrovate; come anco mi son note le cause del quando e perché or l'uno or l'altro di loro declina o verso borea o verso austro in relazione a Giove, e forse potrei aver le risposte all'obiezzioni che Apelle accenna cadere in questa materia, quando ei l'avesse specificate. Ma che tali pianeti siano più de i quattro sin qui osservati, come Apelle dice di tener per certo, forse potrebbe esser vero; e l'affermativa così resoluta di persona, per quel ch'io stimo, molto intendente, mi fa creder ch'ei ne possa aver qualche gran coniettura, della quale io veramente manco: e però non ardirei d'affermare cosa alcuna, perché dubiterei di non m'aver poi col tempo a disdire. E per questo medesimo rispetto non mi risolverei a porre intorno a Saturno altro che quello che già osservai e scopersi, cioè due piccole stelle, che lo toccano una verso levante e l'altra verso ponente, nelle quali non s'è mai per ancora veduta mutazione alcuna, né resolutamente è per vedersi per l'avvenire, se non forse qualche stravagantissimo accidente, lontano non pur da gli altri movimenti cogniti a noi, ma da ogni nostra immaginazione.
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Lettere
di Galileo Galilei
Ricciardi Editore 1953
pagine 265 |
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