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      Quello che V. S. mi scrive essergli intervenuto nel leggere il mio trattato Delle cose che stanno su l'acqua, cioè che quelli che da principio gli parvero paradossi, in ultimo gli riuscirono conclusioni vere e manifestamente dimostrate, sappia che è accaduto qua a molti, reputati per altri lor giudizii persone di gusto perfetto e saldo discorso. Restano solamente in contradizzione alcuni severi difensori di ogni minuzia peripatetica, li quali, per quel che io posso comprendere, educati e nutriti sin dalla prima infanzia de i lor studii in questa opinione, che il filosofare non sia né possa esser altro che un far gran pratica sopra i testi di Aristotele, sì che prontamente ed in gran numero si possino da diversi luoghi raccòrre ed accozzare per le prove di qualunque proposto problema, non vogliono mai sollevar gli occhi da quelle carte, quasi che questo gran libro del mondo non fosse scritto dalla natura per esser letto da altri che da Aristotele, e che gli occhi suoi avessero a vedere per tutta la sua posterità. Questi, che si sottopongono a così strette leggi, mi fanno sovvenire di certi obblighi a i quali tal volta per ischerzo si astringono capricciosi pittori, di voler rappresentare un volto umano o altra figura con l'accozzamento ora de' soli strumenti dell'agricoltura, ora de' frutti solamente o de i fiori di questa o di quella stagione: le quali bizzarrie, sin che vengono proposte per ischerzo, son belle e piacevoli, e mostrano maggior perspicacità in questo artefice che in quello, secondo che egli averà saputo più acconciamente elegger ed applicar questa cosa o quella alla parte imitata; ma se alcuno, per aver forse consumati tutti i suoi studii in simil foggia di dipignere, volesse poi universalmente concludere, ogni altra maniera d'imitare esser imperfetta e biasimevole, certo che 'l Cigoli e gli altri pittori illustri si riderebbono di lui.


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Lettere
di Galileo Galilei
Ricciardi Editore
1953 pagine 265

   





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