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      Quanto ho scritto, signor mio, è un piccol parto, bisognoso d'esser ridotto a miglior forma, lambendolo e ripulendolo con affezione e pazienza, essendo solamente abbozzato e di membra capaci sì di figura assai proporzionata, ma per ora incomposte e rozze: se averò possibilità, l'anderò riducendo a miglior simmetria; intanto la prego a non lo lasciar venir in mano di persona che, adoprando, invece della delicatezza della lingua materna, l'asprezza ed acutezza del dente novercale, in luogo di ripulirlo non lo lacerasse e dilaniasse del tutto. Con che le bacio riverentemente le mani, insieme con li Signori Buonarroti, Guiducci, Soldani e Giraldi, qui presenti al serrar della lettera.
     
      Di Firenze, li 23 Marzo 1615
      Di V. S. molt'Illustre e Reverendissima
     
      Servitore obligatissimoGalileo Galilei
     
     
      XIV
     
      A MADAMA CRISTINA DI LORENA GRANDUCHESSA DI TOSCANA
      (1615)
     
      Io scopersi pochi anni a dietro, come ben sa l'Altezza Vostra Serenissima, molti particolari nel cielo, stati invisibili sino a questa età; li quali, sì per la novità, sì per alcune conseguenze che da essi dependono, contrarianti ad alcune proposizioni naturali comunemente ricevute dalle scuole de i filosofi, mi eccitorno contro non piccol numero di tali professori; quasi che io di mia mano avessi tali cose collocate in cielo, per intorbidar la natura e le scienze. E scordatisi in certo modo che la moltitudine de' veri concorre all'investigazione, accrescimento e stabilimento delle discipline, e non alla diminuzione o destruzione, e dimostrandosi nell'istesso tempo più affezionati alle proprie opinioni che alle vere, scorsero a negare e far prova d'annullare quelle novità, delle quali il senso istesso, quando avessero voluto con attenzione riguardarle, gli averebbe potuti render sicuri; e per questo produssero varie cose, ed alcune scritture pubblicarono ripiene di vani discorsi, e, quel che fu più grave errore, sparse di attestazioni delle Sacre Scritture, tolte da luoghi non bene da loro intesi e lontano dal proposito addotti: nel quale errore forse non sarebbono incorsi, se avessero avvertito un utilissimo documento che ci dà S. Agostino intorno all'andar con riguardo nel determinar resolutamente sopra le cose oscure e difficili ad esser comprese per via del solo discorso; mentre, parlando pur di certa conclusione naturale attenente a i corpi celesti, scrive così: «Nunc autem, servata semper moderatione piæ gravitatis, nihil credere de re obscura temere debemus, ne forte quod postea veritas patefecerit, quamvis libris sanctis, sive Testamenti Veteris sive Novi, nullo modo esse possit adversum, tamen propter amorem nostri errori oderimus.


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Lettere
di Galileo Galilei
Ricciardi Editore
1953 pagine 265

   





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