Fui ritenuto a Roma in carcere 5 mesi, e la carcere fu la casa del Sig. Amb. di Toscana; dal quale e dalla Signora sua consorte fui visto e trattato in modo, che con affetto maggiore non avrebbero potuto trattare i padri loro. Spedita che fu la mia causa, restai condennato in carcere all'arbitrio di Sua Santità; e fu la carcere il palazzo e giardino del G. Duca alla Trinità de' Monti per alcuni giorni, ma pur permutata poi in Siena in casa Monsig. Arcivescovo, dove parimenti stetti 5 mesi, trattato da padre di Sua Sig.a Ill.a e in continue visite della nobiltà di quella città; dove composi un trattato di un argomento nuovo, in materia di meccaniche, pieno di molte specolazioni curiose ed utili. Di Siena mi fu permesso tornarmene alla mia villa, dove ancora mi trovo, con divieto di scendere alla città; e questa esclusione mi vien fatta per tenermi assente dalla Corte e da i Principi. Ma tornato alla villa in tempo che la Corte era a Pisa, venuto il G. Duca in Firenze, due giorni dopo il suo arrivo mi mandò uno staffieri ad avvisare come era per strada per venire a visitarmi; e mez'ora dopo arrivò con un solo gentil'uomo in una piccola carrozzina, e smontato in casa mia si trattenne a ragionar meco in camera mia con estrema soavità poco manco di 2 ore. Stante dunque il non aver patito punto nelle due cose, che sole devono da noi esser sopra tutte l'altre stimate, dico nella vita e nella reputazione (come in questa il raddoppiato affetto dei Padroni e di tutti gl'amici mi accertano), i torti e l'ingiustizie, che l'invidia e la malignità mi hanno machinato contro, non mi hanno travagliato né mi travagliano.
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Lettere
di Galileo Galilei
Ricciardi Editore 1953
pagine 265 |
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