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      Nella mia sentenza in Roma restai condennato dal S.to Offizio alle carceri ad arbitrio di S. S.tà; alla quale piacque di assegnarmi per carcere il palazzo e giardino del Granduca alla Trinità de' Monti; e perchè questo seguì l'anno passato del mese di Giugno e mi fu data intenzione che, passato quello e il seguente mese domandando io grazia della total liberazione, l'avrei impetrata, per non aver (costretto dalla stagione) a dimorarvi tutta la state e anco parte dell'autunno, ottenni una permuta in Siena, dove mi fu assegnata la casa dell'Arcivescovo: e quivi dimorai cinque mesi, dopo i quali mi fu permutata la carcere nel ristretto di questa piccola villetta, lontana un miglio da Firenze, con strettissima proibizione di non calare alla città, né ammetter conversazioni e concorsi di molti amici insieme, né convitargli. Qui mi andavo trattenendo assai quietamente con le visite frequenti di un monasterio prossimo, dove avevo due figliuole monache, da me molto amate e in particolare la maggiore, donna di esquisito ingegno, singolar bontà e a me affezzionatissima. Questa, per radunanza di umori melanconici fatta nella mia assenza, da lei creduta travagliosa, finalmente incorsa in una precipitosa disenteria, in sei giorni si morì essendo di età di trentatré anni, lasciando me in una estrema afflizzione. La quale fu raddoppiata da un altro sinistro incontro; che fu che, ritornandomene io dal convento a casa mia in compagnia del medico, che veniva dalla visita di detta mia figliuola inferma poco prima che spirasse, mi veniva dicendo il caso esser del tutto disperato, e che non avrebbe passato il seguente giorno, sì come seguii quando, arrivato a casa, trovai il Vicario dell'Inquisitore che era venuto a intimarmi d'ordine del S.to Offizio di Roma venuto all'Inquisitore con lettere del S.r Card.le Barberino, ch'io dovessi desistere dal far dimandar più grazia della licenza di poter tornarmene a Firenze, altrimenti che mi arebbono fatto tornar là, alle carceri vere del S.to Offizio.


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Lettere
di Galileo Galilei
Ricciardi Editore
1953 pagine 265

   





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