Proporrò dunque quelle risposte che al presente paiono sollevarmi con speranza di dover poi, con mio util particolare, esser dalle sue dottissime repliche tolto di errore e condotto nel possesso del vero, qualunque volta queste mie risposte gli venissero agli orecchi. Ma prima che io descenda a esaminar la forza delle sue obiezzioni, voglio, per mia satisfazione, raccontare all'Altezza Vostra Serenissima i miei primi moti, dai quali io fui indotto a credere che di questo tenue lume secondario, che nella parte del disco lunare non tocco dal Sole si scorge (il quale, per brevità, con una sola parola nel progresso chiamerò candore), sola ed originaria cagione ne fusse il reflesso dei raggi solari nella superficie del globo terrestre. Avendo ed una e due volte osservato il detto candore, mosso dal natural desiderio d'intender le cause delli effetti di natura, il primo concetto che mi cadde in mente fu, che tal candore potesse essere proprio dell'istessa sustanzia e materia del globo lunare e per certificarmi se ciò potesse essere, aspettai curiosamente il tempo della prima eclisse totale di essa Luna, sicuro che quando ella per sé stessa ritenesse tal lume, molto e molto più splendido ci si mostrerebbe nelle tenebre della notte profonda, che nella chiarezza del crepuscolo; in quel modo che incomparabilmente lo splendore della medesima Luna, conferitole dal Sole, più bello e grande ci si rappresenta nella notte oscura, che non solo nel mezo giorno, ma nell'ora del crepuscolo ancora.
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Lettere
di Galileo Galilei
Ricciardi Editore 1953
pagine 265 |
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