Venne l'eclisse; e restando ella talmente oscura, che del tutto restò inconspicua, fui reso certo, il candore non esser nativo suo, e però necessariamente doverle esser conferito ab extra. E perché ad illuminare un corpo opaco ed oscuro vi è necessario il beneficio di un altro ben risplendente, né trovandosi al mondo altri che le stelle erranti e fisse, il Sole e la Terra, in quanto dal Sole è illustrata, venivo di necessità tratto a ricorrere e a far capo ad alcuno di questi. E cominciando dal Sole, essendo manifesto quanto grande sia l'illuminazione che esso le manda e che nello emisferio lunare ad esso esposto si deve, giudicai, il candore che nell'altro emisferio, non visto dal Sole, si diffonde, non potere essere opera dei raggi solari. Né meno potersi attribuire al resto dei lumi celesti, cioè delle stelle: imperochè la vista loro non vien tolta alla Luna posta nelle tenebre dell'eclisse; onde quelle pure illustrandola sempre egualmente, molto più lucida ci si rappresenterebbe nell'oscuro campo della notte, che nel crepuscolo; di che accade tutto l'opposito. E perché manifestamente si osserva, il candore farsi di grande mediocre, e di mediocre minore e minimo, tal effetto in conto veruno dalle stelle non può derivare. Restavami sola la Terra, atta a poter satisfare a tutte le particolarità, col non fare ella verso la Luna altro che puntualissimamente quello che la Luna fa verso la Terra, illuminando la sua parte oscura nelle tenebre della notte col reflesso de' raggi solari, or più, or meno, or pochissimo, or niente.
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Lettere
di Galileo Galilei
Ricciardi Editore 1953
pagine 265 |
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