E meco medesimo più arditamente discorrendo, dissi: Sono la Luna e la Terra due corpi opachi e tenebrosi egualmente; vi è il Sole, che di pari illustra continuamente un emisferio di ciascheduno lasciando l'altro oscuro; e di questi, la Luna è potente a illuminare l'oscuro della Terra: oh perché si dovrà metter in dubbio che il luminoso della Terra non incandisca l'oscuro della Luna? Parvemi questo discorso talmente ragionevole, che io presi ardire di palesarlo, stimando che dovesse esser ricevuto come concludente; né è restato il mio creder vano, poiché niuno de i comuni ingegni speculativi l'ha impugnato, sinché il discorso dell'eccellentissimo signor Liceti, sopra tutti gli altri eminente, ha con grand'acutezza penetrato, tal mio pensiero ed opinione essere stata manchevole. Tuttavia, o sia per mia debolezza ed incapacità, o pure che le impugnazioni non siano di quella strettissima necessità che nella assoluta demostrativa scienza si richiede, non mi conosco ancora per al tutto convinto; e perché in me non cessa il desiderio di sapere, bramando di esser tolto del dubbio e posto nel certo, communicherò a lei tutto quello che mi occorre potersi dire in risposta alle sue contradizzioni, per mantenimento della mia opinione.
E facendo principio dal titolo del capitolo 50, che è: De Lunæ subobscura luce, prope coniunctiones et in deliquiis observata; digressio physico-mathematica, già che egli medesimo le dà titolo di digressione, è manifesto segno di averla esso stimata considerazione non necessaria nel suo trattato, ma solo avervela interposta per magnificarlo; conforme a quel che di sopra ho detto, che la nobiltà e magnificenzia consiste più negli ornamenti non necessarii, che in quelle cose che di necessità devono esser portate.
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Lettere
di Galileo Galilei
Ricciardi Editore 1953
pagine 265 |
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