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      Ma le cause mutabili, atte a produrre una tal mutabilità, sono dal signor Liceti ridotte a due capi: l'uno è l'avvicinare o discostare il corpo illuminante da quello che deve essere illuminato; e l'altro è il crescere o il diminuire lo splendore del corpo illuminante. Il primo di questi due capi non ha luogo: nella presente operazione, avvengachè, per concessione pur del medesimo signor Filosofo, la Luna mantiene sempre la medesima distanza dalla Terra; e l'altro capo molto meno ci ha luogo il che è manifesto; imperochè l'effetto che seguir si vede procede tutto al contrario di quel che proceder dovrebbe quando pur lo splendor della Luna si facesse ora più vivo e potente ed ora meno. Imperciochè, essendo lo splendor della Luna effetto dei raggi solari che la illustrano, chiara cosa è che ei sarà più vivo quando ella è men lontana dal Sole, e più debile nella sua maggior lontananza e però, posta la Luna in congiunzione col Sole, lo splendore che ella da lui riceve, più efficace sarà che quando ella li è posta all'opposizione, trovandosi in questo luogo più lontana dal Sole, che in quello, tanto quanto importa il diametro del dragone, cerchio massimo deil'orbe nel quale la Luna si rivolge; ed è manifesto, che partendosi ella dalla congiunzione e venendo verso il sestile e di lì al quadrato, ella si va continuamente discostando dal Sole, continuando pure il discostamento nell'aspetto trino, e finalmente conducendosi alla massima lontananza nella diametrale opposizione. Si va per tanto continuamente indebolendo lo splendore della Luna: ma l'effetto suo in Terra procede al contrario imperocché nel tempo della congiunzione l'illuminazione in Terra è minima, anzi pur nulla, e si comincia a far sensibile nel separarsi la Luna dalla congiunzione, né molto si fa ella apparente sino allo aspetto sestile; ma continuando lo allontanamento della Luna dal Sole, passando per il quadrato e trino, sempre il lume di Luna in Terra si fa maggiore e maggiore, sin che diviene massimo nella opposizione.


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Lettere
di Galileo Galilei
Ricciardi Editore
1953 pagine 265

   





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