Poiché dunque la mutazione nel lume il fa al contrario di quel che far si dovrebbe quando tal mutazione dependesse dal farsi lo splendore della Luna or più or meno grande e gagliardo; chiara cosa rimane, che né anco il secondo capo ha luogo. In questa operazione del farsi il lume in Terra or più or meno vivace. Adunque non ha la Luna parte alcuna nella mutazione di quel lume in Terra, del quale noi parliamo; e non avendo ella parte in tal mutazione, per la verissima ipotesi del medesimo Filosofo né meno lo stesso lume sarà effetto della Luna: tuttavia egli pure tanto manifestamente depende dalla Luna, che niuno degli uomini si troverà che vi ponga dubbio. E veramente dubbio non vi si può porre, mentre che la causa della mutazione, cioè del farsi di piccolissimo, e di giorno in giorno andar crescendo, sin che grandissimo divenga, a tanto manifesta, che non è uomo che non la comprenda, e non vegga che la Luna nuova poco o niente può illuminar la Terra, non ci mostrando del suo emisferio illuminato dal Sole altro che una sottilissima falce, la quale la sera seguente fatta più larga, e di sera in sera ingrossando le sue corna, allargatasi per buono spazio dal Sole, comincia a rendere osservabile l'effetto del suo splendore, quanto all'illuminar la Terrai ridottasi poi, dopo sette o otto giorni al quadrato, scuopre alla Terra di sè la metà del suo emisiferio splendido; e seguitando di allontanarsi ancor più dal Sole, più e più di sera in sera mostra ampla la sua figura d'intero e perfetto cerchio, grandissima ne produce in Terra la sua illuminazione.
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Lettere
di Galileo Galilei
Ricciardi Editore 1953
pagine 265 |
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