Ora venghiamo al secondo argumento, leggendo sino a «Deinde Luna prope coniunctiones» etc. Io di questo argumento concedo tutte le premesse, ma non concedo già che non ne segua quello che dalla concessione di esse seguir ne dovrebbe; anzi affermo che puntualmente ne séguita e che così si scorge, cioè che, per esser la Terra più da vicino illuminata dal Sole che la Luna posta in opposizione, e che per esser l'emisferio terrestre molto e molto maggiore, cioè circa dodici volte, di quello della Luna, il candore lunare dovrebbe di gran lunga superare il lume di Luna in Terra; ed affermo di più che così segue, che è quello che dal signor Liceti vien negato, affermando egli vedersi il contrario, cioè molto più debole il candore della Luna che l'illuminazione terrestre derivante dalla Luna piena: e perché ei dice ciò vedersi, mi sarebbe parso necessario il dichiarare la maniera come tal vista possa ottenersi con sicurezza e senza che il senso si ingannasse. Imperoché, mentre io vo ricercando di assicurarmi della verità del fatto, trovo che non mancano circustanze, per le quali il senso, nella prima apprensione, può errare ed esser bisognoso di correzzione, da ottenersi mediante l'aiuto del retto discorso razionale. Io veramente, domandando persone anco di bonissimo giudizio, quale si rappresenti all'occhio, più vivo e risplendente, o il lume di Luna in Terra, o il candore nella Luna, mi sento subito rispondere, che di gran lunga è superiore il lume di Luna; tuttavia credo che, applicando il discorso e la considerazione a gli accidenti che la prima apparenza possono perturbare, si troverà potere essere, ed in fatto essere, il contrario di quello che a prima vista si giudica.
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Lettere
di Galileo Galilei
Ricciardi Editore 1953
pagine 265 |
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