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      E prima, essendo assai manifesto che l'istesso corpo lucido, potente a illuminare altri corpi tenebrosi, più e più vivamente gli illustra secondo ch'ei sarà meno e meno lontano da essi; da questo effetto notissimo e chiaro parmi che con assai conveniente proporzione si possa anco affermare, che alla vista nostra meno risplendente si mostri il medesimo oggetto luminoso, posto in grandissima lontananza dall'occhio, che postoci molto da vicino. E se così è, vorrei che il signor Liceti avvertisse, che nel voler noi far paragone del lume di Luna in Terra col candor della Luna vicina alla congiunzione, e di essi giudicare quello che alla prima vista si rappresenta, avvertisse, dico, che la Terra illuminata dalla Luna non è dall'occhio nostro più lontana di tre o quattro braccia, lontananza incomparabilmente minore di quella della Luna candente posta alla congiunzione, la quale eccede di assai trecento milioni di braccia: qual dunque meraviglia è che, posto anco che il candor della Luna fusse eguale all'illuminazione della Luna in Terra, in tanta differenza di lontananza ci apparisse minore? Eccellentissimo signor Liceti, per giudicare nella presente causa senza fallacia, bisognerebbe che, notato a parte quello che vi si rappresenta alla vista mentre che, stando in Terra, guardate il lume di Luna in Terra, paragonandolo al candor della Luna quando poi è posta nella congiunzione, notaste ancora a parte quello che vi si rappresenterebbe alla vista quando voi foste constituito nella Luna incandita dal lume terrestre, e di lì poteste poi vedere la Terra, da voi lontanissima, illuminata dalla Luna; e se nell'una e nell'altra esperienza voi trovaste che la Terra si mostrasse più candida della Luna incandita postavi sotto i piedi, bene e concludentemente avereste sentenziato; ma dubito che la seconda esperienzia vi farebbe mutar parere, e giudicare tutto l'opposito di quello che la prima vista intorno a questo vi persuase.


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Lettere
di Galileo Galilei
Ricciardi Editore
1953 pagine 265

   





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