Adunque, siano pure quali e quanti si voglino specchi concavi nella Luna, niente faranno più vivo lo splendore diffuso per l'etere ambiente.
Io non credo che all'eccellentissimo signor Liceti sia ignoto, che i raggi reflessi da uno specchio concavo non vadano in figura di cono a unirsi se non in piccola distanza da esso specchio, e che il loro vivacissimo lume non può vedersi se non in qualche materia densa ed opaca, la quale, tocca da i detti raggi, come ho detto, acquista un lume più vivo che lo splendore dell'istesso Sole: ma la parte aversa della detta materia niente si illumina, essendo opaca; tal che a noi che siamo in Terra, dove non credo che il signor Liceti fusse per dire che arrivassero i coni de i raggi reflessi da gli specchi concavi sparsi nella superficie della Luna, a noi, dico, non toccherebbe a vedere se non le dette parti averse, le quali verrebbero illuminate solo dalla superficie della Terra, come il restante dell'emisferio lunare, e però ci resterebbero elle indistinte dal resto del lunar disco. Lascio stare che il metter lamine di materia opaca separate dal corpo lunare e sospese nel suo etere circunfuso, è cosa troppo ridicola, e da non ci far sopra fondamento veruno. Ma più poteva il signor Liceti, come fisico-matematico, raccorre dalle matematiche, che non solo i piccoli specchietti concavi, sparsi nella superficie lunare, non sono bastanti a far l'effetto che egli ne deduce ma quando tutto l'emisferio lunare fosse un solo specchio concavo o porzione di sfera tanto grande che il suo semidiametro fusse l'intervallo che è tra la Terra e la Luna, che è il medesimo che dire che ei fosse porzione dell'istessa sfera nella quale è posta la Luna, appena sarebbe bastante a reflettere e produrre il cono de' raggi reflessi insino in Terra, dove, uniti e terminati nel vertice di detto cono, potessero ravvivare il lume; il quale poi un sol punto o una minimissima particella dell'emisferio terrestre occuperebbe, e quivi solo farebbe la multiplicazione dello splendore, superiore allo splendore terrestre, ma però tanto languido, mercé della minima ed insensibile cavità dello specchio, che il cercare di vederlo o vero di ritrovarlo sarebbe un tempo vanissimamente speso.
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Lettere
di Galileo Galilei
Ricciardi Editore 1953
pagine 265 |
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