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      Per esser dunque il corpo lunare impenetrabilissimo da i raggi del Sole, produce ombra oscurissima in Terra, la quale viene, ma molto debilmente, diminuita dall'opposto nostro lunar candore.
      Segue l'argumento tolto dall'apparizione di Venere di giorno, nelle seguenti parole: «Deinceps, quum Solis vicinia nihil impediat» etc.; e continuando pur nell'instituto di voler dimostrare che il candor della Luna non depende dal reflesso della Terra, premette le seguenti proposizioni. Prima, che il lume di Venere è tanto vivo, che la vicinanza del Sole, anco di mezo giorno, non l'offusca sì che vedere non la possiamo; anzi pure si scorge ella splendida, benché minore di quello che ella si mostra nelle tenebre della notte. Pone l'altra proposizione, la quale è che io affermo, la Terra non venire illustrata dal Sole manco che qualsivoglia pianeta, ed in conseguenza non meno che Venere. Aggiugne la terza proposizione, pur da me creduta e concessa, la quale è che il reflesso del lume terrestre sopra la Luna sia più illustre di quello che la Terra riceve dalla Luna. Le quali premesse io liberamente concedo tutte, ma non so poi dedurne la conclusione che il mio oppositore ne cava; cioè che da tali premesse ne segua in conseguenza, che la Luna prossima alla congiunzione del Sole dovesse, non meno che Venere, mostrarsi splendida nel mezo giorno. Io, per me, dalle due prime premesse, cioè dall'esser la Terra non meno illustrata dal Sole che Venere, e dal vedersi Venere di giorno, non saprei dedurne altri, se non che la Terra, non meno che Venere, dovrebbe esser visibile di giorno; conseguenza tanto vera, che non credo che alcuno vi ponga dubbio, ed io più d'ogni altro l'affermo.


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Lettere
di Galileo Galilei
Ricciardi Editore
1953 pagine 265

   





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