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      Sì che il signor Mario, per fuggir l'imputazione del Sarsi, doveva mostrare che l'accostarsi il telescopio all'occhio non era, prima, uno accrescere in se stessa e per se stessa la virtù visiva (che pur è una causa per la quale, senz'altro aiuto, si può veder quel che prima non si poteva); secondo, doveva mostrar che la medesima applicazione non era un tor via le nuvole, gli alberi, i tetti o altri impedimenti di mezo; terzo, ch'ei non era un servirsi d'un paio d'occhiali da naso ordinarii (e vo, come V. S. Illustrissima vede, numerando le cause poste dal medesimo Sarsi, senz'alterar nulla); quarto, che questo non è un illuminar l'oggetto più chiaramente; quinto, che questo non è un far venir le stelle in Terra o salir noi in cielo, onde l'intervallo traposto si diminuisca; sesto, ch'ei non è un farle rigonfiare, onde, ingrandite, divengano più visibili; settimo, che questo non è finalmente un aprir gli occhi chiusi: azzioni tutte, ciascheduna delle quali (ed in particolar l'ultima) è bastante a farci vedere quel che prima non vedevamo. Signor Sarsi, io non so che dirvi, se non che voi discorrete benissimo; solo dispiacemi che queste imputazioni cascano tutte addosso al vostro Maestro, senza toccar punto il signor Mario o me. Io vi domando se alcune di queste cause, da voi prodotte come potenti a farci veder quello che senza lor non si vederebbe, come, verbigrazia, l'avvicinarlo, l'interpor vapori o cristalli etc., vi dimando, dico, se alcuna di queste cause può produr l'effetto dell'ingrandir gli oggetti visibili, sì come lo produce il telescopio ancora.


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Il Saggiatore
di Galileo Galilei
Ricciardi Editore
1953 pagine 290

   





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