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      A quello ch'ei soggiunge, e fortifica col testimonio di Seneca, cioè che la state sia per aria maggior copia d'essalazioni secche, e che perciò si facciano molti fulmini, io ci presto l'assenso; ma dubito bene circa 'l modo dell'accendersi cotali essalazioni insieme coll'aria, e se ciò avvenga per l'attrizione cagionata per alcun movimento. Io reputerei vero quanto viene scritto dal Sarsi, se prima egli m'avesse accertato, non essere in natura altri modi di suscitar l'incendio fuori che questi due, cioè o col toccar la materia combustibile con un fuoco già attualmente ardente, come quando con un moccolo acceso s'accende una torcia, o vero con l'attrizion di due corpi non ardenti: ma perché altri modi ci sono, come per la reflessione de' raggi solari in uno specchio concavo, o per la refrazzion de' medesimi in una palla di cristallo o d'acqua, ed anco s'è veduto talvolta infiammarsi per le strade, mediante l'eccessivo caldo, le paglie ed altri corpi sottili, e questo farsi senza alcuna commozione o agitazione, anzi solamente quando l'aria è quietissima, e che per avventura s'ella fusse agitata e spirasse vento, l'incendio non ne seguirebbe; perché, dico, ci sono questi altri modi, perché non poss'io stimar che ve ne possa esser qualche altro diverso da questi, per lo quale l'essalazioni per aria e tra le nubi si accendano? E perché debbo io attribuire ciò ad un veemente movimento, se io veggo, prima, che senza l'arrotamento de' corpi solidi, quali non si trovano tra le nuvole, non si suscita l'incendio, ed oltre a ciò niuna commozione si scorge in aria o nelle nuvole quando è maggior la frequenza de' lampi e de' fulmini?


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Il Saggiatore
di Galileo Galilei
Ricciardi Editore
1953 pagine 290

   





Seneca Sarsi