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      Io prego V. S. Illustrissima a farli una volta veder di meza state ghiacciare il vino per via d'una veloce agitazione, senza la quale egli non ghiaccerebbe altrimenti. Quali poi possano esser le ragioni che Seneca ed altri arrecano di questo effetto, ch'è falso, lo lascio giudicare a lei.
      All'invito che mi fa il Sarsi ad ascoltare attentamente quello che conclude Seneca, e ch'egli poi mi domanda se si poteva dir cosa più chiaramente e più sottilmente, io gli presto tutto il mio assenso, e confermo che non si poteva né più sottilmente né più apertamente dire una bugia. Ma non vorrei già ch'ei mi mettesse, com'ei cerca di fare, per termine di buona creanza in necessità di credere quel ch'io reputo falso, sì che negandolo io venga quasi a dar una mentita a uomini che sono il fior de' letterati e, quel ch'è più pericoloso, a soldati valorosi; perch'io penso ch'eglino credesser di dire il vero, e così la lor bugia non è disonorata: e mentre il Sarsi dice, non volere esser di quelli che facciano un tal affronto ad uomini sapienti, di contradire e non credere a i lor detti, ed io dico, non voler esser di quelli così sconoscenti ed ingrati verso la natura e Dio, che avendomi dato sensi e discorso, io voglia pospor sì gran doni alle fallacie d'un uomo, ed alla cieca e balordamente creder ciò ch'io sento dire, e far serva la libertà del mio intelletto a chi può così bene errare come me.
      46. "Sed quid adversus hæc afferre possit Galilæus, non dissimulabo: dicat enim fortasse, nullam unquam fuisse fundarum aut arcuum vim tantam, quæ sclopeti aut muralis tormenti impulsum æquare potuerit; quod si plumbeæ glandes hisce tormentis excussæ non liquescunt, addito etiam pulveris incendio, quo vel uno liquescere deberent, iure suspicari nos posse, poëtarum fuisse commenta illa liquefacti plumbi atque exustarum exempla sagittarum.


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Il Saggiatore
di Galileo Galilei
Ricciardi Editore
1953 pagine 290

   





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