Dico dunque ch'è verissimo che qualunque illuminazione, o propria o esterna, impedisce la trasparenza del corpo luminoso; ma non bisogna, signor Sarsi, che voi intendiate che dicendo noi così, vogliamo inferire che per ogni minima luce il corpo che la riceve debba divenir così opaco com'è una muraglia, ma che secondo la maggiore o minor lucidità perda più o meno della trasparenza: e così veggiamo nel principio dell'aurora, secondo che la region vaporosa comincia a participare un pochetto di lume, perdersi le minori stelle; dapoi, crescendo lo splendore, perdersi anco le maggiori; e finalmente, nella massima illuminazione, celarsi quasi la Luna stessa. In oltre, quando per qualche rottura di nuvole noi veggiamo scendere sino in Terra quei lunghissimi raggi di Sole, se voi porrete ben cura, vedrete notabil differenza circa lo scorgere le parti d'un monte opposto: imperò che quelle che sono oltre a i raggi luminosi si scorgono più offuscate dell'altre laterali, che non vengono da essi raggi traversate. E così parimente, scendendo un raggio di Sole per qualche finestrella in una stanza ombrosa, come tal or si vede per qualche vetro rotto in alcuna chiesa, tutti gli oggetti opposti, in quella parte dove il raggio gli traversa, si veggono meno distintamente, mentre però il riguardante sia in luogo onde ei vegga il raggio luminoso distinto, il che non avviene da tutti i siti indifferentemente. Ora, stanti queste cose vere, dico (e così si è sempre detto) potere esser che la materia della cometa sia assai più sottil dell'aria vaporosa, e meno atta ad illuminarsi, ché così ne persuade il vederla noi sparir nell'aurora e nel crepuscolo, trovandosi il Sole ancora assai sotto l'orizonte; sì che, quanto alla lucidità, non ci è ragione perch'ella debba asconderci le stelle più della region vaporosa.
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Il Saggiatore
di Galileo Galilei
Ricciardi Editore 1953
pagine 290 |
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