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      I mezzi, con i quali s'offendono ed espugnano le fortezze, pare che siano principalmente cinque: cioè,
      la batteria, quando con l'artiglierie s'apre di lontano una muraglia, e per l'apertura si fa adito per entrare nella fortezza;
      la zappa, che si fa accostandosi alla muraglia, e con pali di ferro, con picconi, ed altri istrumenti, si rovina;
      la terza è la scalata, quando con le scale si monta sopra la muraglia;
      la quarta è la mina, la quale, per la forza del fuoco rinchiuso in una cava sotterranea (come a suo luogo dichiareremo), rovina in uno instante una muraglia;
      la quinta finalmente è l'assedio, quando, togliendo a i difensori ogni sorte di sussidio, si constringono per la fame a rendersi.
      Lasciamo stare il tradimento, come maniera d'espugnare ignominiosa, ed alla quale male si può trovare rimedio, sendo impossibile guardarsi da i traditori. Lasciamo, per simile rispetto, le improvise rubberie, dalle quali non ne può assicurare la forma della fortezza, ma solamente la vigilante cura delle guardie.
     
     
      QUAL SIA L 'OFFIZIO DELL'ARCHITETTO.
     
      Dalle quattro prime offese è offizio dell'architetto il fare che la fortezza venga assicurata: però nell'ordinare le nostre fortificazioni avremo sempre inanzi a gli occhi, come scopo principale, l'assicurarsi dalle batterie, dalle scalate, dalla zappa e dalle mine. E sì come la maggior parte delle offese vengono dalle artiglierie, così dalle medesime verranno le principali difese.
      Però per generalissimo precetto e per regola invariabile terremo il fare che tutte le parti della nostra fortezza scambievolmente si vegghino e difendino, né sia in loro luogo ancor che minimo, dove l'inimico potesse stare senza esser offeso: perché, quando potesse pure un solo soldato stare senza offesa sotto a qualche parte della muraglia, comincierebbe ad aprirla; e fatta una buca, dove potessero lavorar due, a poco a poco l'allargherebbono per 4, 6, 10 o 20, e finalmente la tirerebbono a rovina.


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Trattato di fortificazione
di Galileo Galilei
Utet
1980 pagine 68