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      SALV. E così dal vostro ingegnoso discorso si conclude, gli attributi di maggiore minore o eguale non aver luogo non solamente tra gl'infiniti, ma né anco tra gl'infiniti e i finiti.
      Passo ora ad un'altra considerazione, ed è, che stante che la linea ed ogni continuo sian divisibili in sempre divisibili, non veggo come si possa sfuggire, la composizione essere di infiniti indivisibili, perché una divisione e subdivisione che si possa proseguir perpetuamente, suppone che le parti siano infinite, perché altramente la subdivisione sarebbe terminabile; e l'esser le parti infinite si tira in consequenza l'esser non quante, perché quanti infiniti fanno un'estensione infinita: e così abbiamo il continuo composto d'infiniti indivisibili.
      SIMP. Ma se noi possiamo proseguir sempre la divisione in parti quante, che necessità abbiamo noi di dover, per tal rispetto, introdur le non quante?
      SALV. L'istesso poter proseguir perpetuamente la divisione in parti quante, induce la necessità della composizione di infiniti non quanti. Imperò che, venendo più alle strette, io vi domando che resolutamente mi diciate, se le parti quante nel continuo, per vostro credere, son finite o infinite?
      SIMP. Io vi rispondo, essere infinite e finite: infinite, in potenza; e finite, in atto: infinite in potenza, cioè innanzi alla divisione; ma finite in atto, cioè dopo che son divise; perché le parti non s'intendono attualmente esser nel suo tutto, se non dopo esser divise o almeno segnate; altramente si dicono esservi in potenza.


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Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze
di Galielo Galilei
Utet
1980 pagine 293