De i quali uno è, se si deve stimare che l'impedimento del mezzo possa esser bastante a por termine all'accelerazione a' corpi di materia gravissima, e grandissimi di mole, e di figura sferica; e dico sferica, per pigliar quella che è contenuta sotto la minima superficie, e però meno soggetta al ritardamento. Un altro sarà circa le vibrazioni de i pendoli, e questo ha più capi: l'uno è, se tutte, e grandi e mediocri e minime, si fanno veramente e precisamente sotto tempi eguali; ed un altro, qual sia la proporzione de i tempi de i mobili appesi a fili diseguali, de i tempi, dico, delle lor vibrazioni.
SALV. I quesiti son belli, e, sì come avviene di tutti i veri, dubito che trattandosi di qualsisia di loro, si tirerà dietro tante altre vere e curiose consequenze, che non so se l'avanzo di questo giorno ci basterà per discuterle tutte.
SAGR. S'elle saranno del sapore delle passate, più grato mi sarebbe l'impiegarvi tanti giorni, non che tante ore, quante restano sino a notte; e credo che il Sig. Simplicio non si ristuccherà di tali ragionamenti.
SIMP. Sicuramente no, e massime quando si trattano quistioni naturali intorno alle quali non si leggono opinioni o discorsi d'altri filosofi.
SALV. Vengo dunque alla prima, affermando senza veruna dubitazione, non essere sfera sì grande, né di materia sì grave, che la renitenza del mezzo, ancor che tenuissimo, non raffreni la sua accelerazione, e che nella continuazion del moto non lo riduca all'equabilità: di che possiamo ritrar molto chiaro argomento dall'esperienza stessa.
| |
Sig
|