Né fia, per mio credere, senza qualch'utile dell'universale la resoluzione della quistion nostra; perciò che trattandosi, se la figura de' solidi operi o no nell'andare essi, o non andare, a fondo nell'acqua, in occorrenze di fabbricar ponti o altre macchine sopra l'acqua, che avvengono per lo più in affari di molto rilievo, può esser di giovamento saperne la verità.
Dico dunque che, trovandomi la state passata in conversazione di letterati, fu detto nel ragionamento, il condensare esser proprietà del freddo, e fu addotto l'esemplo del ghiaccio. Allora io dissi che avrei creduto più tosto il ghiaccio esser acqua rarefatta, che condensata; poi che la condensazione partorisce diminuzion di mole e augumento di gravità, e la rarefazione maggior leggerezza e augumento di mole, e l'acqua nel ghiacciarsi cresce di mole, e 'l ghiaccio già fatto è più leggier dell'acqua, standovi a galla.
È manifesto quant'io dico: perché, detraendo il mezo dalla total gravità de i solidi tanto, quanto è il peso d'altrettanta mole del medesimo mezo, come Archimede dimostra nel primo libro Delle cose che stanno su l'acqua, qualunque volta si accrescerà per distrazion la mole del medesimo solido, più verrà dal mezo detratto della intera sua gravità, e meno quando per compressione verrà condensato e ridotto sotto minor mole.
Mi fu replicato, ciò nascere non dalla maggior leggerezza, ma dalla figura larga e piana, che, non potendo fender la resistenza dell'acqua, cagiona che egli non si sommerga. Risposi, qualunque pezzo di ghiaccio, e di qualunque figura, star sopra l'acqua; segno espresso, che l'essere piano e largo quanto si voglia, non ha parte alcuna nel suo galleggiare: e soggiunsi che argomento manifestissimo n'era il vedersi un pezzo di ghiaccio di figura larghissima, posto in fondo dell'acqua, subito ritornarsene a galla; ché, s'e' fosse veramente più grave, e 'l suo galleggiare nascesse dalla figura impotente a fender la resistenza del mezo, ciò del tutto sarebbe impossibile.
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Archimede
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