Che dunque diremo che sia? Io per me direi che fusse il contrario di quello che è cagion dell'andare al fondo; avvegnaché il discendere al fondo e 'l restare a galla sieno effetti contrari, e degli effetti contrari contrarie debbono essere le cagioni. E perché dell'andare al fondo la tavoletta d'ebano o la sottil falda d'oro, quando ella vi va, n'è, senz'alcun dubbio, cagione la sua gravità, maggior di quella dell'acqua, adunque è forza che del suo galleggiare, quand'ella si ferma, ne sia cagione la leggerezza, la quale, in quel caso, per qualche accidente forse sin ora non osservato, si venga con la medesima tavoletta a congiugnere, rendendola non più, come avanti era, mentre si profondava, più grave dell'acqua, ma meno. Ma tal nuova leggerezza non può depender dalla figura, sì perché le figure non aggiungono o tolgono il peso, sì perché nella tavoletta non si fa mutazione alcuna di figura, quand'ella va al fondo, da quello ch'ell'aveva mentre galleggiava.
Ora tornisi a prender la sottil falda d'oro o d'argento, o vero l'assicella d'ebano, e pongasi leggiermente sopra l'acqua, sì che ella vi resti senza profondarsi; e diligentemente s'osservi l'effetto che ella fa. Vedrassi, prima, quanto sia saldo il detto d'Aristotile e degli avversari, cioè che ella resti a galla per la impotenza di fendere e penetrare la resistenza della crassizie dell'acqua: perché manifestamente apparirà, le dette falde non solo aver penetrata l'acqua, ma essere notabilmente più basse che la superficie di essa, la quale, intorno alle medesime falde, resta eminente, e gli fa quasi un argine, dentro la cui profondità quelle restano notando; e secondo che le dette falde saranno di materia più grave dell'acqua due, quattro, dieci, o venti volte, bisognerà che la superficie loro resti inferiore all'universal superficie dell'acqua ambiente tante e tante volte più che non è la grossezza delle medesime falde, come più distintamente appresso dimosterremo.
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Aristotile
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