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      Quando, dunque, noi vediamo la falda d'ebano, o d'altra materia più grave dell'acqua, trattenersi a' confini dell'acqua e dell'aria senza sommergersi, ad altro fonte bisogna che ricorriamo, per investigar la cagion di cotale effetto, che alla larghezza della figura impotente a superar la renitenza con la quale l'acqua contrasta alla divisione, già che tal resistenza non è, e da quello che non è non si dee attendere azione alcuna. Resta, dunque, come già s'è detto, verissimo, ciò avvenire perché quello che si posa in tal modo su l'acqua, non è il medesimo corpo che quello che si mette nell'acqua: perché questo, che si mette nell'acqua, è la pura falda d'ebano, che, per esser più grave dell'acqua, va al fondo; e quello che si posa su l'acqua, è un composto d'ebano e di tanta aria, che tra ambedue sono in ispecie men gravi dell'acqua, e però non discendono.
      Confermo ancor più questo ch'io dico. Già, signori avversari, noi convegniamo che la gravità del solido, maggiore o minore della gravità dell'acqua, è vera e propriissima cagione dell'andare o non andare al fondo. Ora, se voi volete mostrare che, oltre alla detta cagion, ce ne sia un'altra, la qual sia così potente che possa impedire e rimuovere l'andare al fondo a quei solidi medesimi che per loro gravità vi vanno, e questa dite che è l'ampiezza della figura, voi siete in obbligo, qualunque volta vogliate mostrare una tale esperienza, di render prima i circustanti sicuri, che quel solido, che voi ponete nell'acqua, non sia men grave in ispecie di lei; perché, quando voi ciò non faceste, ciascuno potrebbe con ragion dire che non la figura, ma la leggerezza, fosse cagion di tal galleggiare.


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Discorso intorno alle cose che stanno in su l'acqua o che in quella si muovono
di Galileo Galilei
Utet
1980 pagine 105