Notisi, nel secondo luogo, come, nel multiplicar la mole dell'aria, non si multiplica solamente quello che vi è di terreo, ma il suo fuoco ancora: onde non meno se le cresce la causa dell'andare in su, in virtù del fuoco, che quella del venire all'ingiù, per conto della sua terra multiplicata. Bisognava, nel crescer la grandezza dell'aria, multiplicar quello che ella ha di terreo solamente, lasciando il suo primo fuoco nel suo stato: ché allora, superando 'l terreo dell'aria augumentata la parte terrea della piccola quantità dell'acqua, si sarebbe potuto più verisimilmente pretender che con impeto maggiore dovesse scender la molta quantità dell'aria che la poca acqua. È, dunque, la fallacia più nel discorso d'Aristotile che in quello di Democrito; il quale, con altrettanta ragione, potrebbe impugnare Aristotile, e dire: Se è vero che gli estremi elementi sieno l'uno semplicemente grave e l'altro semplicemente lieve, e che i medii partecipino dell'una e dell'altra natura, ma l'aria più della leggerezza, e l'acqua più della gravità; adunque sarà una gran mole d'aria la cui gravità supererà la gravità d'una piccola quantità d'acqua, e però tal mole d'aria discenderà più velocemente che quella poca acqua: ma ciò non si vede mai accadere: adunque non è vero che gli elementi di mezzo sieno partecipi dell'una e dell'altra qualità. Simile argomento è fallace, non meno che l'altro contr'a Democrito.
Ultimamente, avendo Aristotile detto che, se la posizion di Democrito fusse vera, bisognerebbe che una gran mole d'aria si movesse più velocemente che una piccola d'acqua, e poi soggiunto che ciò non si vede mai in alcun modo; parmi che altri possa restar con desiderio d'intender da lui, in qual luogo dovrebbe accader questo ch'e' deduce contro a Democrito, e quale esperienza ne insegni ch'e' non v'accaggia.
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