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      Io non credo già che alcuno (stimando forse di potere in tal guisa difendere Aristotile) dicesse che, essendo vero che la molta acqua resiste più che la poca, la detta lamina, fatta più bassa, discenda perché minor mole d'acqua gli resti da dividere: perché, se dopo l'aver veduta la medesima falda galleggiare in un palmo d'acqua e anche poi nella medesima sommergersi, e' tenterà la stessa esperienza sopra una profondità di dieci o venti braccia, vedrà seguirne il medesimo effetto per appunto. E qui torno a ricordare, per rimuovere un errore assai comune, che quella nave, o altro qual si voglia corpo, che sopra la profondità di cento o di mille braccia galleggia col tuffar solamente sei braccia della sua propria altezza, galleggerà nello stesso modo appunto nell'acqua che non abbia maggior profondità di sei braccia e un mezzo dito. Né credo altresì che si possa dir, le parti superiori dell'acqua esser le più crasse, benché gravissimo autore abbia stimato, nel mare l'acque superiori esser tali, pigliandone argomento dal ritrovarsi più salate che quelle del fondo: ma io dubiterei dell'esperienza, se già nell'estrar l'acqua del fondo non s'incontrasse qualche polla d'acqua dolce, che quivi scaturisse: ma ben veggiamo, all'incontro, l'acque dolci de' fiumi dilatarsi, anche per alcune miglia, oltre alle lor foci sopra l'acqua salsa del mare, senza discendere in quella o con essa confondersi, se già non accade qualche commozione e turbamento de' venti.
      Ma, tornando ad Aristotile, gli dico che la larghezza della figura non ha che fare in questo negozio né punto né poco; perché la stessa falda di piombo, o d'altra materia, fattone strisce quanto si voglia strette, soprannuota né più né meno; e lo stesso faranno le medesime strisce di nuovo tagliate in piccoli quadretti, perché non la larghezza, ma la grossezza, è quella che opera in questo fatto.


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Discorso intorno alle cose che stanno in su l'acqua o che in quella si muovono
di Galileo Galilei
Utet
1980 pagine 105

   





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