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      Ad ogni modo, noi crediamo di non cadere in errore argomentando che quelle medesime cause che lo indussero a rispondere, dopo lungo silenzio, alla De situ et quiete Terrae contra Copernici systema disputatio di Francesco Ingoli(9), abbiano pure contribuito a fargli riprendere la intermessa, ma non mai pretermessa, fatica.
      Della forma dialogica e del titolo "Del flusso e reflusso" che Galileo intendeva di dare al ripreso lavoro, troviamo per la prima volta menzione in una lettera a Cesare Marsili del 7 dicembre 1624(10); e sembra che il Nostro si proponesse allora di recarsi a Roma e di presentare per l'approvazione soltanto una bozza dell'opera, o di ottenere in generale che non si avversassero le dottrine in essa professate: dal qual partito lo distolsero il Cesi e il Ciampoli(11).
      Il lavoro, che nell'agosto del 1625 egli scrive di andar tirando innanzi(12), apparisce intermesso nel dicembre dell'anno successivo(13); ed anche sei mesi dopo gli amici sentono che procede con lentezza, la qual cosa dà argomento alle loro doglianze(14). Nonostante che, in occasione della gravissima malattia dalla quale Galileo fu colto nel marzo del 1628 e che lo condusse in fin di vita, preso da timore che l'opera rimanesse incompiuta, egli facesse risoluzione di portarla a fine nel più breve tempo possibile(15), tuttavia nel 1629, per ragioni a noi sconosciute, il lavoro soffrì un nuovo ritardo. Fu ripreso nell'ottobre, e il 24 dicembre Galileo partecipava al Cesi d'averlo "condotto vicino al porto"(16): al principio dell'anno successivo i dialoghi erano "felicemente terminati"(17), si leggevano in casa del canonico Cini(18), e l'autore ne cominciava la revisione, dandone avviso agli amici ed aggiungendo che in breve li avrebbe avuti "in pronto per dargli alla luce"(19); e la stampa si proponeva di farla in Roma, dov'egli stesso si sarebbe recato a curarla, "per non affaticar altri nelle correzioni"(20). In questa determinazione egli era venuto, come par molto probabile, perchè, dovendo l'opera esser pubblicata per cura dell'Accademia dei Lincei, cioè a spese del Principe Cesi(21), fosse evitato il pericolo di troppe scorrezioni e d'interpolazioni, com'era avvenuto per il Saggiatore(22). Contemporaneamente però Galileo faceva tastare in Roma il terreno per prepararsi all'accoglienza ch'egli ed il suo libro vi avrebbero ricevuto, e ne scriveva in proposito, in una lettera che lamentiamo smarrita, sotto il dì 28 gennaio 1630 al fido Castelli, il quale si era già abboccato intorno a questo particolare col Padre Maestro del Sacro Palazzo, Niccolò Riccardi (quello stesso da cui era stato dato il nulla osta alla stampa del Saggiatore), ed aveva anche scandagliato l'animo del Card.


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Le opere di Galileo Galilei
Edizione nazionale sotto gli auspici di sua maestà il re d'Italia. Volume VII
di Galileo Galilei
Tipografia Barbera Firenze
1897 pagine 1069

   





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