Concludiamo per tanto, che sì come è vero che il moto di tutto il globo e di ciascuna delle sue parti sarebbe equabile ed uniforme quando elle si movessero d'un moto solo, o fusse il semplice annuo o fusse il solo diurno, così è necessario che, mescolandosi tali due moti insieme, ne risultino per le parti di esso globo movimenti difformi, ora accelerati ed ora ritardati mediante gli additamenti o suttrazioni della conversion diurna alla circolazione annua Onde se è vero (come è verissimo, e l'esperienza ne dimostra) che l'accelerazione e ritardamento del moto del vaso faccia correre e ricorrere nella sua lunghezza, alzarsi ed abbassarsi nelle sue estremità, l'acqua da esso contenuta, chi vorrà por difficultà nel concedere che tale effetto possa, anzi pur debba di necessità accadere all'acque marine, contenute dentro a i vasi loro, soggetti a cotali alterazioni, e massime in quelli che per lunghezza si distendono da ponente verso levante, che è il verso per il quale si fa il movimento di essi vasi? Or questa sia la potissima e primaria causa del flusso e reflusso, senza il quale nulla seguirebbe di tale effetto. Ma perchè multiplici e varii sono gli accidenti particolari che in diversi luoghi e tempi si osservano, i quali è forza che da altre diverse cause concomitanti dependano, se ben tutte devono aver connessione con la primaria, però fa di mestiero andar proponendo ed esaminando i diversi accidenti che di tali diversi effetti possano esser cagioni.
Il primo de' quali è, che qualunque volta l'acqua, mercè d'un notabile ritardamento o accelerazione di moto del vaso suo contenente, avrà acquistata cagione di scorrere verso questa o quella estremità, e si sarà alzata nell'una ed abbassata nell'altra, non però resterà in tale stato, quando ben cessasse la cagion primaria, ma, in virtù del proprio peso e naturale inclinazione di livellarsi e librarsi, tornerà per sè stessa con velocità in dietro; e, come grave e fluida, non solo si moverà verso l'equilibrio, ma, promossa dal proprio impeto, lo trapasserà, alzandosi nella parte dove prima era più bassa; nè qui ancora si fermerà, ma di nuovo ritornando in dietro, con più reiterate reciprocazioni di scorrimenti ci darà segno come ella non vuole da una concepita velocità di moto ridursi subito alla privazion di quello ed allo stato di quiete, ma successivamente ci si vuole mancando a poco a poco, lentamente ridurre: in quel modo appunto che vediamo alcun peso pendente da una corda, doppo essere stato una volta rimosso dal suo stato di quiete, cioè dal perpendicolo, per sè medesimo ricondurvisi e quietarvisi, ma non prima che molte volte l'avrà di qua e di là, con sue vicendevoli corse e ricorse, trapassato.
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Le opere di Galileo Galilei
Edizione nazionale sotto gli auspici di sua maestà il re d'Italia. Volume VII
di Galileo Galilei
Tipografia Barbera Firenze 1897
pagine 1069 |
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