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      Nè deve parer maraviglia che questi numeri contenessero difficultà e misteri, perchè anco i principii peripatetici ciò contengono, come specialmente è noto di quei che chiamano ultime differenze o principii di individuazione.
      De i numeri dunque concreti, non de gli astratti, parlavano i predetti filosofi. Di Pittagora lo dice espressamente Aristotile nel 3° della sua Fisica, al testo 25, con queste parole: Verum Pythagorei quidem in sensibilibus; neque enim abstractum faciunt numerum; e se bene voi non credete ad Aristotile nella dottrina, questo però è un punto istorico, conosciuto da lui che era vicino a quei tempi ne i quali erano quelle dottrine in fiori, nè Aristotile l'avrebbe apportato per sua difesa, pronosticando forse le vostre obbiezzioni contro di lui. Pur se non volete accettarlo, non importa: considerate le ragioni. Platone parimente per l'unità intende l'idee. Ve ne apporterei l'istesso testimonio di Aristotile, al testo 22 del 1° della Fisica, il qual, essendo stato discepolo di Platone, quantunque ragionevolmente ributti queste idee, però nel dire che Platone le chiamasse unità non è imaginabile che dica il falso, avendo scritto a i tempi che la dottrina Platonica era notissima, nè questo poteva esser punto di controversia: pur, se nè anco credete, v'apporterò la dottrina di ambidoi i predetti filosofi. Avendo essi, dunque, universalmente trattato di numeri come di principii delle cose, acciò si conoscesse come erano principii e quanti, constituivano i loro concreti, con ordine di opposti, sino al numero denario, ed erano questi: Finito ed infinito, pare ed impare, semplice e multiplice, destro e sinistro, maschio e femina, moto e quiete, retto e curvo, lume e tenebre, bene e male, quadrato e di altra parte longo; e così questi numerati, più tosto che i numeri da essi astratti, erano presi per principii.


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Le opere di Galileo Galilei
Edizione nazionale sotto gli auspici di sua maestà il re d'Italia. Volume VII
di Galileo Galilei
Tipografia Barbera Firenze
1897 pagine 1069

   





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