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      4. Alla quarta (che è l'opinion di Platone), non dico altro per ora, perchè risponderò alla vostra dimostrazione, con la quale credete confirmar questa posizione, ed avrò in un tempo sodisfatto all'uno ed all'altro.
      5. Vengo dunque alla quinta. E dico, prima, che voi supponete, la quiete esser una tardità infinita, constituita di gradi infiniti positivi, onde da altri di velocità, parimente infiniti, quasi con resistenza dei predetti, abbiano da vincersi, e così prodursi velocità sempre maggiore. Le quali cose sono falsissime: però che la quiete è una pura privazione; la tardità, comunque si sia, anco per caso infinita, è passione disgiunta del moto, il cui opposito, ed altro disgiunto, è la velocità, sì che ogni moto è veloce over tardo; di modo che attribuendo la tardità alla quiete, sarebbe come chi dicesse, il vedere esser proprio di chi è cieco. Or questa tal privazione per ogni atto positivo si toglie o distrugge, come per ogni lume si levano le tenebre, perchè, non avendo ella nè attività nè entità reale, non ha alcuna resistenza; di modo tale che ogni grado di moto l'ha estinta, e per conseguente a questo fine non accade produr velocità sempre maggiore. E quantunque sia dottrina di Aristotile, nel 2° del Cielo, che il moto naturale retto vada acquistando sempre maggior velocità quanto più si allontana dal luogo onde cominciò e si avvicina al suo naturale, non però fa tal acquisto per estinguer i gradi che non furno mai nella natura privativa della quiete, ma sì bene perchè i naturali effetti congionti alla lor cagione operante, non impedita, prendono sempre maggior vigore, e massime i primogeniti della natura, quale è il moto locale, ministro principale o più tosto padre de gli altri.


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Le opere di Galileo Galilei
Edizione nazionale sotto gli auspici di sua maestà il re d'Italia. Volume VII
di Galileo Galilei
Tipografia Barbera Firenze
1897 pagine 1069

   





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