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      Ma poco avete voi corroborata questa dottrina, mentre che Aristotile parla in generale, senza restringersi più ad una che ad un'altra materia, purchè nel resto de' mobili l'altre cose sien pari(508), cioè le figure siano simili; nè distingue le palle dai dadi nè dalle tavole, e sopra tutto dice l'effetto comprendersi con la vista, nè, che io sappia, già mai ne adduce ragione, alla quale crederei pienamente poter rispondere, non potendo ella, come di conclusione falsa, essere concludente.
      Resta finalmente, per sodisfare all'altra parte dell'obbligo che m'imponete, che io produca le ragioni ancora che, oltre alla esperienza, confermano la mia proposizione, se bene, per assicurare l'intelletto, dove arriva l'esperienza non è necessaria la ragione: la quale pure produrrò, sì per vostro benefizio, sì ancora perchè prima fui persuaso dalla ragione che assicurato dal senso. Incontratomi nel testo di Aristotile, nel quale egli(509) per manifesta suppone la sua proposizione, subito sentii gran repugnanza nell'intelletto, come potesse essere che un corpo 10 o 20 volte più grave dell'altro dovesse cadere a basso con decupla o vigecupla velocità; e mi sovvenne aver veduto nelle tempeste mescolatamente cadere piccioli grani di grandine con mezzani e con grandi dieci e più volte, e non questi anticipare il loro arrivo in Terra, nè meno esser credibile che i piccioli si fussero mossi un pezzo avanti
      de' grandissimi. Di qui passando col discorso più oltre, mi formai un assioma da non esser revocato in dubio da nessuno, e supposi, qualsivoglia corpo grave descendente aver nel suo moto gradi di velocità, dalla natura limitati ed in maniera prefissi, che il volergli alterare, col crescergli la velocità o diminuirgliela, non si potesse fare senza usargli violenza per ritardargli o concitargli il detto suo limitato corso naturale.


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Le opere di Galileo Galilei
Edizione nazionale sotto gli auspici di sua maestà il re d'Italia. Volume VII
di Galileo Galilei
Tipografia Barbera Firenze
1897 pagine 1069

   





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