Autografi, B.a LXXXIX, n.° 112. - Autografa.
Molto Ill.e ed Ecc.mo Sig. mio,
V. S. mi ha fatto sempre grazia di amarmi e onorarmi sopra 'l mio merito, ma questa volta l'affetto e la cortesia in vero han traboccato: e se m'è lecito (che la sua gentilezza mi persuade che sia), io le ricorderò che gli huomini grandi, qual è V. S., bisogna che vadiano adagio e considerati a lodare eziam gli amici cari, e bisogna ch'e' non concedano ogni cosa all'amore; perchè, mettendosi a rischio che i lodati non riescano, mettono anche a rischio il credito e la reputazion propria. E questo basti per quello che sia dovuto alle cerimonie.
Io presupongo che V. S. abbia detto all'A.za del Ser.mo Principe, che io ho, molti anni sono, professione del tutto diversa dalla poesia, e che quello che io ho composto è stato fatto da me assai da giovane, sì come V. S. sa benissimo, la quale si ricorderà haver sentito anni e anni alcune cose che io le mando per obbedire. Harei havuto caro mi avesse accennato, in che materia avesse volsuto i sonetti e anche la canzone. Le cose amorose dilettan più; ma non so come sien ricevute in Corte. Io me ne rimetto a lei. Voleva mandare quella canzone amorosa che io feci tanti anni sono; credo ch'ella n'abbia memoria; ma io non l'ho scritta, e mi sono dimenticato una stanza, della quale io non mi ricordo più che s'io non l'havessi mai fatta: sì che ho tolto quella in morte del Sig. Agostino del Nero, materia così fatta, ma volendo obbedire non ho potuto fare altrimenti. Mi è convenuto scrivere ogni cosa da me per più presta spedizione, sichè lo scritto non sarà più degno di tanto Principe che sieno le poesie stesse.
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