Et innanzi a lui mostrò di conoscerlo Aristotile nel primo libro delle Meteore, nel quale, favellando delle stelle, diceva che oltra quelle d'osservata grandezza (le quali poscia gli astrologi annoverarono fino a mille e ventidue) ve ne sono altre innumerabili, che, per esser fuori delle 48 imagini celesti, egli chiamò....(622); delle quali, perciò che di quelle che si veggono se ne sa il numero, bisogna necessariamente confessare che l'altre, credute innumerabili, non si fussero per allora vedute. L'istesso disse più chiaramente Alfagranio, et altri più moderni etiandio. Per la qual cosa di questa prima maraviglia, quantunque ella in sè medesima sia grande, pure per ciò che fu da gli antichi conosciuta almeno, se non veduta, sarà maggiore l'obbligo che habbiamo al S.r Galileo che ce la porga a riguardare co 'l suo maraviglioso instrumento, che la novità delle stesse cose mirate.
Il medesimo si potrebbe affermare della seconda maraviglia della Galassia, della qual ancorchè Aristotile favellasse in modo che paresse anzi favoleggiare che filosofare, non è egli però che Averroe non si forzasse di darci a credere, essere oppinion di lui che il candor di quella fosse il picciolo et confuso lume d'innumerabili e spessissime stelle. La qual sentenza non solamente è stata tenuta per vera in sè stessa e seguita quasi universalmente da i moderni, ma molti se l'hanno beuta etiandio come oppinione d'Aristotile, e fra gli altri Alberto (non so per qual ragione chiamato Magno), il qual, non contento d'haverne investito Aristotile, l'attribbuì anche vanamente a Tolomeo, attestando il cap.
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