Solamente li giorni passati, che mi trattenni, mentre la Corte era a Pisa, per lo spazio di tre settimane coll'Illustrissimo Signor Filippo Salviati, gentiluomo di grandissimo spirito, in una sua villa in questi poggi, stetti assai bene, e conobbi immediate la bontà di quell'aria, e in conseguenza la malignità di questa della città; sì che mi converrà far pensiero di farmi abitator dei monti, se no de' sepolcri: ed in questa occasione, ritornato il Serenissimo Gran Duca ed inteso il mio stato, mi ha per sua benignità fatto offerta dell'abitazione di qual mi piacesse delle sue ville qui circumvicine, di aria perfetta. Ma non solo in questo, anzi in ogni altro particolare concernente al mio comodo, provo la benignità di questo Signor inclinatissima a favorirmi: onde non devo della fortuna querelarmi, come dell'abito del corpo.
Quanto alle occupazioni della mente, non mi è mancato che fare, a difendermi con la lingua e con la penna da infiniti contraddittori e oppositori contro alle mie osservazioni; sebbene non me la sono nè anco presa con quell'ardore che pareva a molti che contro all'ardire degli opponenti fusse bisognato, essendochè ero certo che il tempo averebbe chiarite tutte le partite, siccome in gran parte è sin qui succeduto. Poichè i matematici di maggior grido di diversi paesi, e di Roma in particolare, dopo essersi risi, ed in scrittura ed in voce, per lungo tempo e in tutte le occasioni e in tutti i luoghi, delle cose da me scritte, ed in particolare intorno alla luna ed ai Pianeti Medicei, finalmente, forzati dalla verità, mi hanno spontaneamente scritto, confessando ed ammettendo il tutto; talchè al presente non provo altri contrari che i Peripatetici, più parziali di Aristotele che egli medesimo non sarebbe, e sopra gli altri quelli di Padova, sopra i quali io veramente non spero vittoria.
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