Sì che V. S. stia pur sicura ch'io sia tanto lontano dal creder che [......] queste cose celesti, n[uo]vamente dal gran Galileo, et non prima di lui da alcuno, state osservate, possano essere apparenze cagionate da inganno d'instrumento, quanto sono lontano dal creder che il sole non luca, ma che a noi così paia. Le cagioni di perspettiva, se gli avversarii, che senza [...]ione et espe[rie]nza alcuna dell'occhiale sì arditamente parlano e legi[erm]ente ridono, ne fussero capaci, le havrei stese in questo foglio, dimostrando [non (?) esser] impossibile per la [...] di tal vetro la moltiplicatione apparente dell'obietto, et [...] ch'ella fusse possibile, seguirne un molto grande inco[nveniente], e se la figura dell'occhio naturale dovesse ad ogni huo[mo causar] simile inganno, onde si revocasse in dubio tutto quel che intendiamo per mezo del vedere.
Ho voluto spiegare a V. S. il mio parere con queste quattro righe, non tanto per lei, com'io dissi da principio, con la quale discorrerò più al lungo a bocca sopra il medesimo soggetto, quanto perchè, venendole occasione, ella possa, con questa mia scrittura di mia mano, assicurare alcuni di questi ritrosi, atti a sparger la fama, ch'io non sono di contrario parere a quel ch'io mi contento che, come mio, apparisca per iscrittura. Et con tal fine bacio a V. S. le mani, pregandole da Dio felicità.
Di casa, a dì 20 di Magio 1611.
Di V. S. molto Ill.re e molto Rev.daSer.re Aff.mo
Luca Valerio.
532.
GALILEO a PIERO DINI [in Roma].
Roma, 21 maggio 1611.
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Dio Magio Rev Valerio Roma
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