Altrettanto cara mi è stata la lettera di V. R., quanto discara l'occasione di scriverla: quella, cara per venire da persona da me, seben per altro molto amata, in particolare però, per esser già conosciuta, anzi celebre, ne' studii matematici, la somiglianza de' studii me le rendono sopra modo affezionato, et perciò anco desideroso di sue lettere; discara è stata l'occasione, e tanto più quanto più lontana dal genio mio, il quale amo sommamente la sincerità et aborrisco in estremo l'offendere altrui. Ho sentito gran dispiacere che il Galileo si sia offeso, massime che cognosco che egli ha ragione; massime che io ciò previdi e cercai di impedirlo, ma non mi riuscì compitamente; massime che amo et ammiro il Galileo, non solo per la sua rara dottrina et invenzione, ma anco per l'antica amicizia che già contrassi con lui in Padova, dalla cortesia et amorevolezza del quale restai legato: nè credo sia stato alcuno che habbia più publicato, confirmato et difeso le sue invenzioni di me, in publico et in privato, tanto in questa Corte di Parma quanto in quella di Mantova, col far vedere col canocchiale la luna, le Medicee et l'altre, sino anco alli stessi Principi di Mantova; et al Card.l Gonzaga(360) confirmai molto tali invenzioni, per tutto con somma lode del Galilei. Testimonio ne può essere una mia, scritta a lui in confirmazione et congratulazione delle sue invenzioni, se pure le fu ricapitata(361).
Ma dirà la R. V.: Bene currebatis; quis vos fascinavit, o insensati Galatae(362)? Sappia dunque che di questo Problema(363) io sono stato più tosto revisore et assistente, che autore.
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