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      Conoscesi dunque sin qui, in virtù di sensata apparenza presa dal mescolamento di lumi et di ombre, come le montuosità et asprezze lunari si estendono vicinissime all'ultima circonferenza visibile; et più s'intende come tal mescolamento, benchè ne i plenilunii si ritrovi nell'estrema circonferenza, non vi si potendo scorgere mediante lo sfuggimento della curvità lunare, non ci può in consequenza arguire la montuosità; ma solamente restano alla nostra vista esposti i dorsi tutti illuminati delle eminenze, che in multiplicate falde l'una doppo l'altra con lunghissimi ordini si distendono.
      Finalmente la terza ragione, che mi ha forzato, non che persuaso, a porre le montuosità sino nell'estrema circonferenza della luna, è tale. Quando la parte illuminata della luna ci si dimostra sotto la forma di una sottil falce, la circonferenza cava et interiore di essa falce non è parallela all'altra periferia esteriore e convessa; anzi nelle parti di mezzo, le quali potriano chiamarsi il ventre della falce, è ella assai larga, et verso i corni si va ristringendo, sì che nell'una et nell'altra estremità termina in due acutissime et sottilissime punte, nelle quali la cava et la convessa circonferenza, unendosi insieme, ristringono e serrano la parte lucida tra angustissimi spazii: et già in queste estreme corna il confine dell'ombra et della luce doventa quasi l'istesso ultimo cerchio che termina l'emisferio della luna da noi veduto; il qual cerchio, per la sua sottigliezza, non sarebbe da noi ritrovato in cielo senza la scorta del ventre più spazioso e lucido, che a quello ci guida e conduce.


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Le opere di Galileo Galilei
Volume XI. Carteggio 1611-1613
di Galileo Galilei
Barbera Firenze
1964-1965 pagine 834