Roma, 14 ottobre 1611.
Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 219. - Autografa.
Molto Ill.e et molto Ecc. Sig.r mio Oss.mo
Trionfarò pure una volta della modesta ostinatione di V. S., e mi potrò gloriare d'essere stato honorato dall'oracolo, insieme con Socrate; quantunque ella nomini questa honorevolezza servitù, la quale senza dubio è simile a quella delle sue stelle, che servono bene alla terra, ma con abbellirla, fecondarla et illuminarla. In somma, a dirla com'io la sento, io mi stimo da qualche cosa potendo favellare con gli heroi, e tengo d'essere maggior di colui qui concoquere magnam foelicitatem non potuit, sed saturitate accepit damnum immensum, come canta Pindaro; perchè non mi satiarò già mai io delle gratie che V. S. m'ha fatto e fa, nè pretenderò altro che felicitarmi con i suoi comandamenti. Nè mi dica qui, che le mie parole sono nella superficie colorate, e non altamente tinte, perchè le giuro per la crambe di Socrate e per la cappari di Zenone, ch'io la riverisco e stimo quanto si può desiderare da un humile e riverente affetto; e se il S. Conte Montalbano(641) non ha fatto il dovuto inchino a V. S. a nome mio, gliel perdono, sapendo ch'egli habbia havuto l'animo occupato insieme con Testili. Mi spiace che quel Cavaliere sia stato tanto poco ricordevole delli miei prieghi, e tanto poco felice spositor dell'animo et intentione mia. Io mi contento che l'Ill.mo S. Marchese(642) sia commune giudice; e s'egli giudicarà ch'io sia degno di castigo, riceverò la sentenza per beneficio, perciò che quanto fosse maggior la pena che mi volesse imporre, tanto s'accrescerebbe il favore: anzi io voglio scommettere che il mio desiderio sarà sempre maggiore di obedir a V. S., dell'ordine che quel Signore mi potrebbe dar in questo particolare.
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