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      Non ammireremmo noi un musico, il quale cantando e rappresentandoci le querele e le passioni d'un amante ci muovesse a compassionarlo, molto più che se piangendo ciò facesse? e questo, per essere il canto un mezzo non solo diverso, ma contrario ad esprimere i dolori, e le lagrime et il pianto similissimo. E molto più l'ammireremmo, se tacendo, col solo strumento, con crudezze et accenti patetici musicali, ciò facesse, per esser le inanimate corde meno atte a risvegliare(922) gli affetti occulti dell'anima nostra, che la voce raccontandole. Per questa ragione dunque, di qual maraviglia sarà l'imitare la natura scultrice coll'istessa scultura, e rappresentare il rilevato coll'istesso rilevo? Di niuna certo, o di poca; et artificiosissima imitazione sarà quella che rappresenta il rilevo nel suo contrario, che è il piano. Maravigliosa dunque, per tal rispetto, si rende più la pittura che la scultura.
      L'argomento poi dell'eternità non val niente, perchè non è la scultura che faccia eterni i marmi, ma i marmi fanno eterne le sculture; ma questo privilegio non è più suo, che d'un ruvido sasso: benchè e le sculture e le pitture sieno forse egualmente soggette a perire.
      Soggiungo che la scultura imita più il naturale tangibile, e la pittura più il visibile; perocchè, oltre alla figura, che è comune con la scultura, la pittura aggiugne i colori, proprio oggetto della vista.
      Finalmente, gli scultori copiano sempre, et i pittori no; e quelli imitano le cose com'elle sono, e questi com'elle appariscono: ma perchè le cose sono in un modo solo, et appariscono in infiniti, e' vien perciò sommamente accresciuta la difficultà per giugnere all'eccellenza della sua arte.


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Le opere di Galileo Galilei
Volume XI. Carteggio 1611-1613
di Galileo Galilei
Barbera Firenze
1964-1965 pagine 834