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      Farei torto alla somma gentilezza di V. S. Ecc.ma s'io credessi riuscirle noioso pregandola d'un altro favore, pur quasi nello stesso proposito della vista. Io soglio usare in camara la lucerna dall'oglio, poichè le candele non solo col vibrar della vampa m'offendono la vista, ma con la loro fumosità, cagionata dalla materia, m'infiammano la testa; e perchè il lume della lucerna è debole, nè può allumare la stanza quanto io vorrei, quindi è che la mia naturale maninconia vien accresciuta da quel lume mezzo morto. Per ciò, se occorresse a V. S. Ecc.ma qualche inventione di stromento col quale, o con la moltiplicatione del lume, o col reflesso o in altra maniera, si potesse spargere per la stanza, dove io siedo o passeggio, una luce viva ed allegra, mi sarebbe in vero di grandissimo sollevamento, perchè passarei quelle hore della notte senza la noia, la quale m'offende non poco la sanità e la testa in particolare, che viene molto debilitata dalla maninconia, la quale cagiona afflittione d'animo e risolutione de' più puri spiriti. So che all'altezza dello 'ngegno di V. S. Ecc.ma questi sono puri scherzi; onde con maggior ardire vengo a pregarla di così fatti favori, e tanto più che la sua benignità mi ci tira, offerendosi con tanta prontezza. Alla quale per segno di ricognitione dirò solo, che se le forze mie corrispondessero al desiderio grande che tengo di servirla, io sarei forse il maggior servitore ch'ella avesse; ma se mi vengon meno le forze, sia certa ch'in affetto di riverenza non conosco superiore: che sarà il fine, con baciarle affettuosamente la mano.


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Le opere di Galileo Galilei
Volume XI. Carteggio 1611-1613
di Galileo Galilei
Barbera Firenze
1964-1965 pagine 834