Qui, mezzo tra lo sdegno e la cortesia, finì l'atto primo; sebene entrò poi in un circolo a far l'intermedio, per quanto intendo, magnificando le sue risposte, con vilipendere la fallacia dell'altrui esperienze, inserendo parole di me quali profferirebbe uno che per geloso sdegno voglia mostrar di disprezzare, e stimi troppo. Io da un Cavaliere mio amicissimo (fa di nostra camerata a Pisa; ella s'immaginerà chi) intesi, non ci esser però tra' Bolognesi mala sodisfatione, ma più tosto riso, per il vehemente riso dell'ira concitata del buon vecchietto. Però, doppo haverne parlato a chi doveva stando dove sto, mi risolvei a non trattarne; quand'il giorno seguente, doppo desinare, essendo in anticamera, eccoti il principio lietissimo dell'atto 2°. Comparisce tutto cortese; mi prende per mano,
me la vuol baciare; si discorre di varie cose; fin che io, non sapendo ove tendessi questa subita mutatione, non so come, sorridendo inserii ragionamento che io la stimavo, e nell'honorarlo non ero quella mala persona che S. Signoria Ecc.ma si figurava: dove, seguitandosi questo discorso, io prima le domandai che nuove consuetudini voleva introdurre tra gl'ingegni d'Italia, che sentendosi disputare due dottori, non si possa dire: "Un mi piace più; le risposte dell'altro, a mio gusto, non sodisfanno, etc.". Sebene non intendevo, et in ciò era d'accordo con esso, "io non so che ella dia precetto a' suoi scolari che aspettino d'haver letto venti anni in catthedra, prima che dire: L'esperienze o i discorsi del tale son favole da ridere", come conportava che dicessero con tanta libertà. In oltre, havendo S. Signoria Ecc.ma riseduto tant'anni su le cattedre, e però scordatosi della consuetudine corrente ne i banchi dell'udienza, che s'informassi da quei suoi signori scolari presenti quivi, se è lecito il dire a uno "L'opinione del vostro dottore non mi piace" o "Il tale diede la tal risposta, che a me pare non concludente". Replicando egli, e più volte interrompendomi, con dire che questo era fargli torto, compararlo con chi non sa nè intende Aristotile, non haver ammirato le sue risposte, io rispondevo che questa era debolezza del mio ingegno; che io restavo maravigliato della Signoria S. Ecc.ma, come, dicendo che io non sapeva niente, ei s'alterasse poi tanto d'una mia oppinione, come se la mia voce havessi autorità di fare i decretali, qual fusse il primo dottor d'Italia.
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