I' vo leggendo e rileggendo l'opere di V. S. per temprare in me l'ardente desiderio de' suoi gustosissimi e fruttuosissimi discorsi; ma ne sento effetto contrario all'intentione, e s'io fussi in mia libertà, Dio sa se a quest'hora V. S. non si fusse sentito appresso il calpestio del mio ronzino. In cambio di questo l'ho ben seguita sempre col pensiero, et hora la vengo a visitare e salutar con lettere, ringratiandola quanto so e posso del saluto che nominatamente e di sua propria mano mi ha mandato nella seconda lettera al suo Sig.r cognato: ma io devo anco rammaricarmi seco (e più meco medesimo), che al partir ch'ella fece di qua non mi lasciasse da far cosa alcuna per lei, segno espresso che io non debbo esser buono a nulla. Patienza! so ben certo che ad una cosa i' son buono, cioè ad amarla, riverirla et ammirarla; il che ho fatto sempre, e farò sin ch'io vivo. E qui facendole riverenza, le bacio col più intrinseco affetto la mano.
Di Firenze, a dì 29 Aprile 1624.
Di V. S. molto Ill. et Ecc.maObblig.mo et Devot.mo Ser.re
Niccolò Aggiunti.
Quando le sarà commodo, se ella mi dirà qualche cosa del Sarsi, mi sarà carissimo. Il Sig.r Iacopo Peri saluta V. S. affettuosissimamente. Hieri discorremmo insieme di lei più di du' hore.
1630*.
FEDERICO CESI a [GALILEO in Roma].
Acquasparta, 30 aprile 1624.
Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VIII, car. 224. - Autografa.
Molt'Ill.re e molto Ecc.te Sig.r mio sempre Oss.mo
Ho sentito consolatione del felice arrivo di V. S. e della sua gratissima; ma però il temere delle indispositioni, et l'essersi pigliata soverchia fatiga in un subito, come lei m'accenna, me l'ha minuita non poco: nè è cosa nella quale più si deva premere e da lei e da tutti noi, che la sua sanità. La Corte, Sig.r mio, dà infinite occupationi e fatighe, e quando non fussero altre, le officiose e di complimenti sono senza numero.
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