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      In questi giorni ho dimostrato geometricamente la seguente propositione, con assai facilità: Che la quantità di acqua che scorre per un fiume, mentre è in una altezza d'acqua, alla quantità dell'acqua che scorre nel medesimo fiume mentre si ritrova in un'altra altezza d'acqua, ha la proportione composta della velocità alla velocità e della altezza all'altezza. Nel resto sto bene, e tutto al servizio di V. S.; e li bacio le mani.
     
      Pisa, il 12 di 9mbre 1625.
      Di V. S. molto Ill.reOblig.mo Ser.re e Dis.lo
      Don Bened.o Cast.li
     
      Fuori: Al molto Ill.re Sig.r e P.ron Col.moIl Sig.r Galileo Galilei, p.o Filosofo di S. A. S.
      Firenze.
     
     
     
      1739.
     
      CESARE MARSILI a GALILEO in Firenze.
      Bologna, 14 novembre 1625.
     
      Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. X, car. 218. - Autografa la sottoscrizione.
     
      Molt'Ill.re et Ecc.mo S.re P.rone mio Oss.mo
     
      Hor hora mi è capitata l'inclusa, la quale ho havuto carissima per molti rispetti, e particolarmente per haver occasione di salutarla, chiederle del suo ben stare, et dirle ch'io resto ansiosissimo di qualche sua scrittura. Subito che haverò il discorso del S.re Chiaramonti, l'inviarò a V. S. Ecc.ma; ma di gratia, questo stia tra noi.
      Il nostro S.re Achilini(671) fa stupire il mondo con le sue erudite lettioni, ancorchè di legge. Mi favorirà, la prego, di tenermi in gratia del S.re Prencipe nostro, et far a mio nome una raccomandatione al S.re Mario et al Padre D. Benedetto.
      Non posso con questa occasione non significarle un mio pensiero contro l'inalterrabilità del cielo, venduta d'Aristotile: qual è, che se il cielo non fosse alterabile, non saprei che ufficio se havesse il lume della luna quando è nuova, essendo che in quel tempo tutto sta rivolto verso il cielo; anzi che sempre, ancorchè piena, non si può negare che più lume non diffondi verso il cielo che ver la terra: et perchè non m'indurò mai a credere che solo per rendere le scambievolezze(672) delle mutationi delle faccie il sopravanzo sia gettato, non essendo la natura, nelle sue attioni, nè superflua nè manchevole, se dunque haverà ufficio, per ciò occorrerà, che in quella parte sia materia nella quale ella possi operare altro effetto che la semplice illuminatione, della quale, a mio credere, non ne ha bisogno il cielo; poichè, che cosa può pregiudicarle l'ombra, dirò, di Venere, s'egli è inalterabile? là onde, s'operarà altro che illuminare, lo alterarà, ch'è quanto pretendo.


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Le opere di Galileo Galilei
Volume XIII. Carteggio 1620-1628
di Galileo Galilei
Barbera Firenze
1964-1965 pagine 592

   





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