Credo che il nostro Sig.r Giuliano Landucci habbia dato parte a V. S. molto Ill.re di una stravaganza del Sig.r Vincenzo, la quale mi fa cascare le braccia totalmente, e resto confuso e disperato totalmente di potere da me solo aiutarlo; e però mi sono risoluto raccomandarlo alla bontà di Dio con tutto il cuore, e darne ancora io conto a V. S. Sappia dunque che quel vizio che nell'altra mia(971) chiamai poca devozione trapassa all'ultimo segno d'impietà, perchè, mentre era ammonito con carità dal suo ospite, proruppe a dire che non era mica un pazzo come noi altri a adorare un pezzo di muro dipinto. Prudentemente li fu risposto dal'ospite, che credeva che dicesse quelle parole fuori del serio, chè quando le havesse dette da dovero, lui era obligato a denunciarlo al S.to Officio, e che sarebbe abbrusato vivo in Campo di Fiore. Mostrò di spaventarsi un poco: con tutto ciò séguita i suoi costumi alla peggio senza rispetto, ed ha hauto a dire di più queste parole formate: Hora che il P. D. Benedetto sa le cose mie, non mi curo più nè di lui nè di Mons.r Ciampoli nè di nessuno, e voglio fare a mio modo; e mio zio (intendendo di V. S.) mi ha mandato qua, perchè più non mi poteva governare. Qui noto l'animo perverso e la pazzia espressa; e perchè il negozio è gravissimo e per sè stesso e per le consequenze, giudico necessario venire a' ferri e forze, e prego V. S. a fare che ritorni a Firenze, e, bisognando, lei medesima lo denunzii a chi s'aspetta, non solo per liberarlo dalle mani del diavolo, se sarà possibile, ma per fare lei il debito suo e sgravarsi da quelle note che li sarebbero date ogni volta che per altra strada si scoprisse questa piaga, che puzza avanti a Dio e nel cospetto del mondo di fetore intolerabile.
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